Durante l’esame di una scena del crimine e nel corso di tutti gli esami che vengono effettuati può accadere di trovarsi di fronte ad un ambiente che non coincide con le dichiarazioni dei testimoni.

Nei casi in cui, invece, la scena coincide perfettamente con la versione data dai testimoni sono le prove trovate, all’interno della scena stessa,  a confermare o smentire le dichiarazioni rilasciate.

La falsificazione di una scena del crimine è atta al depistaggio degli investigatori ed ha il fine di far comprendere una visione diversa dalla realtà dei fatti.

Per comprendere meglio possiamo portare ad esempio due fatti di cronaca: la morte di Kurt Cobain (1994) ed il delitto di Novi Ligure (2001).

Il suicidio del front-man dei Nirvana, Kurt Cobain, ha avuto un forte impatto mediatico.

Oltre alla grave perdita nel mondo della musica Grunge è risuonato il contrasto tra quanto dichiarato dagli investigatori e quello che affermavano altre fonti (media, giornalisti etc)

Kurt Cobain in concerto

Il 5 aprile del 1994 venne rinvenuto il corpo senza vita di Kurt Donald Cobain, Frontman dei Nirvana, nella stanza sopra al garage della sua abitazione di Seattle.

Il ritrovamento del corpo fu fatto da un antennista, che era stato chiamato dalla moglie di Kurt Cobain, Courtney Love, per sistemare l’antenna parabolica.

L’antennista chiamò subito le autorità e, dai rilevamenti eseguiti, risultò che non avesse alterato in nessun modo la scena del crimine.

Sul certificato di morte venne scritto, dalle autorità competenti, che il decesso era avvenuto per mezzo di un colpo di arma da fuoco auto inflitto.

Secondo le fonti giornalistiche dell’epoca la scena intorno al corpo ed il corpo stesso testimoniavano una diversa dinamica.

Venne rinvenuta una lettera di addio, scritta da Kurt Cobain e destinata alla moglie.

Dall’esame calligrafico si evinse che solo la prima parte della lettera era stata scritta di pugno dalla vittima.

La seconda parte, quella appunto indirizzata alla moglie, sembrerebbe non risultare essere stata scritta dalla stessa mano.

Kurt Cobain era solito fare uso di stupefacenti, ma dall’esame tossicologico venne scoperto che in corpo aveva una dose eccessivamente elevata per essere sopportata dal corpo umano.

La quantità equivaleva ad un milligrammo e mezzo di eroina e tale dose, nonostante l’eroina impieghi un minuto di tempo per entrare in circolo, non avrebbe lasciato il tempo materiale per poter rimettere nella scatola la siringa usata e gli altri accessori.

Non avrebbe, successivamente, dato il tempo di prendere il fucile, posizionarsi e spararsi. Sarebbe morto prima di overdose.

Volendo effettuare un’autopsia psicologica di kurt Cobain, si può dire che la vittima aveva sempre sofferto del disturbo bipolare, di bronchite cronica ed intensi dolori allo stomaco, che riusciva a controllare solo con l’uso di sostanze stupefacenti.

Solo pochi mesi prima di morire scoprì che i dolori allo stomaco erano causati da una vertebra spostata e si sottopose a cure fisioterapeutiche .

Gli elementi che potessero indicare una predisposizione verso il suicidio ci sono state, anche se, dalle dichiarazioni degli amici più intimi, non aveva in nessun modo manifestato la volontà di togliersi la vita.

In effetti, dai risultati balistici e della scientifica risultò che sul fucile utilizzato da Kurt Cobain, trovato adagiato parallelo al corpo, non vi fosse nessuna traccia di impronte digitali, come se fossero stati indossati dei guanti.

Guanti che, a quanto pare sia emerso, Kurt Cobain non portava e che di certo non poteva essersi tolto dopo aver sparato il colpo. Peraltro non sono stati trovati guanti sulla scena del crimine.

Quindi secondo le autorità, Kurt Cobain si diresse verso la sua casa sul Lago Washington, entrò nella stanza sopra al garage, si iniettò un milligrammo e mezzo di eroina in vena, ripose il tutto in modo ordinato,  prese il fucile e si sparò nella guancia.

Pulì il fucile dalle impronte digitali, lo ripose in maniera ordinata vicino al proprio corpo e si sdraiò, morendo con calma.

Ricostruzione poco credibile, in un caso chiuso in fretta, dove la scena del crimine urlava un’altra verità.

Tutte queste incongruenze hanno fatto in modo che il mondo di Internet ha gridato al complotto.

Altro esempio di come si è cercato di deviare le indagini è da accreditarsi ad Erika De Nardo ed Omar Favaro, esecutori del delitto di Novi Ligure il 21 Febbraio 2001.

I due giovani inizialmente dichiararono che il tutto fosse avvenuto per l’intrusione di alcuni albanesi cercando di mettere indizi e tracce che potessero far pensare a questa intrusione.

I due non riuscirono, ovviamente, ad organizzare tutto. Fin da subito gli inquirenti sospettarono dei due giovani.

Teoria che venne confermata in pieno a causa di tutte le tracce trovate sulla scena del crimine. Scena, questa, che non era limitata ad un unico ambiente, bensì all’intera abitazione (coinvolgendo più stanze, le scale ed il piano superiore della casa).

Le tracce ematiche sparse in ogni dove sulla scena del crimine, con l’aiuto della nuova tecnica di BPA (Bloodstain Pattern Analysis), hanno fatto in modo che fosse ricostruita ogni singola mossa eseguita da Erika ed Omar, comprendendo a pieno la dinamica di come si svolsero i fatti.

Anche le tracce trovate addosso agli aggressori hanno contribuito a raggiungere quella verità che entrambi stavano negando.

Soprattutto Erika, che si riteneva estranea all’ aggressione materiale, avendo dichiarato che ad esserne l’esecutore fosse solo il fidanzatino Omar.