Quando si parla di omicidio è inevitabile parlare anche di violenza. Come è inevitabile parlare di follia o di crudeltà.
Nel caso dell’omicidio di Luca Varani, avvenuto il 4 Marzo del 2016, queste tre parole si racchiudono in due persone.
Marco Prato e Manuel Foffo hanno fatto, di Luca Varani, una cavia alla quale poteva essere fatto qualsiasi cosa gli venisse in mente “solo per vedere l’effetto che fa“, come dichiarato dallo stesso Foffo.
QUELLA TRAGICA NOTTE
Marco e Manuel sono chiusi in casa da ormai due giorni dove alcool, cocaina e sesso fanno da padroni.
La sera del 3 Marzo decidono di uscire in macchina in cerca di una “preda” da far oggetto delle loro fantasie. Prendono la macchina e girano per le strade di Roma ma nulla. Non trovano la persona giusta.
Ad un tratto i due ragazzi spavaldi, in cerca di altri divertimenti, inviano un messaggio su whatsapp a Luca Varani, un ragazzo, disposto a concedersi a loro previo la proposta di 100 euro, droga ed alcool.
Luca risponde a quel messaggio ed ecco che si ritrovano di nuovo lì, nell’appartamento di Via Igino Giordani a Colli Aniene, in periferia di Roma.
Ora sono in tre. Luca beve un drink offerto da Marco e Manuel ignaro che al suo interno c’era della droga (successivamente identificata come la droga da stupro) che lo avrebbe reso inerme alle loro fantasie, ma sempre cosciente di quanto gli stava per accadere e per tutto il tempo in cui ha subito la loro ferocia.
Luca, impossibilitato a ribellarsi e a difendersi, ma pienamente cosciente, ha subito un carosello di torture dettate da una feroce crudeltà.
Luca ha subito centosette ferite sul corpo. Martellate in testa, sulla bocca, il collo è stato segato prima con una lama e poi stretto con un laccio. Coltellate al torace, alcune delle quali sferrate solo per il piacere di provocare del male.
Prima stordito e reso inoffensivo, poi massacrato e seviziato per ore.
La ferocia è nei dettagli. Dettagli come cercare di strozzarlo, di tagliargli la testa con il coltello del pane, di pugnalarlo in ogni parte del suo corpo, solo per infliggergli sofferenza (da quanto dichiarato dal medico legale – n.d.r.) fino piantargli definitivamente il coltello nel petto. Coltello che è stato trovato infilzato al ritrovamento del corpo . Di prenderlo a martellate mentre uno dei due esclama disturbato “Questo non vuole morire!”. Di alternare le manovre sadiche a momenti di sesso tra loro e con Luca. Di aver dormito vicino al suo corpo, ormai, senza vita. Di aver pensato di far sparire il corpo. Di pulire con la candeggina fino a capire che il sangue sparso per la casa era troppo e non si poteva nascondere.
LE INDAGINI, L’ACCUSA E LA CONDANNA
Appena le forze dell’ordine sono entrate nell’appartamento si sono subito rese conto della gravità di quanto accaduto.
Il corpo di Luca era sul letto, sotto il piumone insanguinato, con l’avambraccio che ne usciva fuori ed il coltello ancora infilato nel cuore.
Sono stati da subito identificati come gli autori di tale violenza Marco Prato e Manuel Foffo.
I due si cominciarono ad accusarsi l’uno con l’altro dicendo che non erano stati loro a progettare quel massacro ma era stato l’altro.
Marco Prato era un PR della Roma bene. Un ragazzo benestante che organizzava party e festini a base di droga.
Ha frequentato, e tirato in gioco diversi nomi durante questa brutta storia, diversi personaggi dello spettacolo. Amava vestirsi da donna ed il suo idolo era la cantante Dalida ( morta suicida nel 1987).
Marco Prato si divertiva ad adescare giovani eterosessuali e a portare a conclusione un rapporto completo con loro.
Marco Prato, indagato per omicidio e tortura ai danni di Luca Varani, ha passato un anno in carcere e proprio quando stava per cominciare il Processo si è tolto la vita, nella propria cella, con un sacchetto di plastica ed una bomboletta di gas data in dotazione dal Penitenziario.
Prato aveva già avuto dei precedenti di tentato suicidio mai portati a termine e scongiurati perché soccorso in tempo. Molti giornali e persone intervistate sono dell’opinione che il gesto è stato fatto solo per uscire di scena in maniera plateale e come voleva lui: Morire come Dalida.
Ha lasciato due biglietti.
Nel primo c’era scritto: “Perdonatemi, non riesco, sono stanco e una persona orribile. Ricordate solo il bello di me, vi amo”
Nel secondo: “Buttate il mio telefono e distruggetelo insieme al computer, nascondono i miei lati brutti. Non indagate sui miei risvolti torbidi. Non sono belli”
Inoltre ha lasciato le volontà al padre e alla madre: “Fate festa per il mo funerale […] fiori, canzoni di Dalida. Bei ricordi. Una Festa dovete divertirvi. Mettetemi la cravatta rossa, donate i miei organi, lasciatemi lo smalto rosso alle mani. mi sono sempre divertito di più ad essere una donna”
Manuel Foffo, invece, è stato giudicato in primo e secondo grado a 30 anni di carcere per l’omicidio e la tortura ai danni di Luca Varani.
Il giudizio dato è il massimo della pena, per il Foffo, in quanto ha confessato il crimine ed è stato giudicato con il rito abbreviato.
Nel luglio del 2019 i Giudici della Cassazione affermano nelle motivazioni della sentenza, che confermava i 30 anni di carcere a Foffo, che i due contattarono Varani per “infliggergli sofferenze, allo scopo di trarre piacere da tale esperienza, nella consapevolezza che la loro azione avrebbe comportato l’uccisione della vittima”.