Era il 20 febbraio 1988 quando Pietro de Negri, titolare di un negozio di toelettatura per cani in Via della Magliana, a Roma, comincia a far parlare di se in tutta Italia.
Era soprannominato “Er Canaro” questo uomo pacifico, lavoratore, amante degli animali, in fase di separazione dalla moglie, padre di una bambina ma con il vizio della droga.
Un uomo che non avrebbe fatto male ad una mosca si è trasformato in uno dei più temuti e sadici carnefici.
Seppur Pietro de Negri ha commesso un solo delitto è passato alla storia per l’efferatezza e la crudeltà inflitta alla sua vittima, sulla quale ha potuto sfogare tutta la sua ira e la sua esasperazione.
La vittima era Giancarlo Ricci, un uomo di 27 anni famoso per la sua irascibilità e la tendenza a cercarsi i guai. Di alta statura, ex pugile, cocainomane, rapinatore.
Spesso Pietro de Negri era soggetto alle sue percosse e fu detenuto per furto in carcere per un reato commesso insieme al Ricci. De Negri non disse mai il nome del complice con l’accordo che Ricci gli tenesse da parte la sua metà del bottino.
Quando uscì di prigione Ricci si era già mangiato tutto il ricavato della rapina e de Negri rimase con un pugno di mosche.
Non c’era giorno che il Ricci non andava in cerca di guai anche da altri spacciatori, rapinava donne anziane facendo loro del male e cominciava ad essere di troppo in quella società popolare che non voleva guai.
Un giorno, però, fece un’altra angheria a Pietro. La goccia che fece traboccare il vaso era arrivata. Pietro non ne poteva più e fu così che decise di dare una lezione al suo oppressore.
Era il 18 febbraio 1988 quando Pietro convocò il Ricci nella sua bottega. La scusa era buona, se l’era studiata.
Spiegò a Ricci che di li a poco sarebbe arrivato un “signore della droga”. Per potergli rubare “la roba” Ricci si doveva nascondere all’interno di una delle gabbie che servivano per tenere i cani in attesa della toelettatura per poi uscire di colpo e colpirli alle spalle.
Per rendere più credibile la finta rapina Ricci doveva aggredire anche Pietro e scappare con la droga.
Nonostante fosse perplesso il Ricci si fece convincere dall’allettante bottino. Nel frattempo fuori c’era un suo amico che lo aspettava in macchina ignaro cosa stesse per succedere in quella bottega.
Ricci fu torturato per 7 ore prima di raggiungere il decesso.
Come sono andati i fatti secondo le dichiarazioni di Pietro de Negri
Pietro de Negri ha fin da subito confessato il suo omicidio. Una volta che Ricci è entrato nella gabbia Pietro chiude il lucchetto e Giancarlo comincia ad urlare sentendosi in trappola.
Giancarlo urla troppo così Pietro alza la musica a tutto volume, tanto è una sua abitudine ed i vicini sono abituati.
Ad un certo punto Giancarlo riesce a tirare fuori la testa dalla gabbia ma Pietro comincia a colpirlo con un bastone fino a farlo svenire.
Così approfitta per tirarlo fuori e legarlo con le catene che gli occorrono per tenere fermi i cani durante il lavaggio.
Comincia a tagliare al Ricci le dita delle mani. Rispettivamente i pollici, gli indici e li ripone su di un bancone vicino a lui, cosparge le ferite di benzina e gli da fuoco per cauterizzare le ferite e non facilitare la morte per dissanguamento.
Nel frattempo, tra un’amputazione e l’altra fa una tirata di coca. A momenti alterni Giancarlo rinviene urlando di dolore e insultando Pietro. Così decide di evirarlo, cauterizzargli anche questa ferita e prenderlo in giro dicendogli che da quel momento non era più neanche un uomo.
Le urla di Ricci continuano ad infastidire Pietro che così decide di tagliargli la lingua. Così facendo può anche spegnere lo stereo, non ce ne è più bisogno.
Pietro ricorda che fuori al negozio c’è ancora l’amico di Giancarlo che lo aspetta in macchina, Fabio Beltrano. Lo raggiunge dicendo che può anche andar via perché Giancarlo è scappato dopo la rapina della droga.
Torna dentro e decide di tagliare la punta del naso, parte delle labbra e le orecchie.
Esce di nuovo dal negozio ma questa volta è per andare a prendere la figlia a scuola. La porta a casa della moglie e torna a negozio. Giancarlo è ancora vivo.
Stufo del gigante infila tutto ciò che gli aveva amputato negli occhi, nella bocca e nell’ano della sua vittima. Poi prende un martello e gli sfonda il cranio per prenderne il cervello e lavarglielo con lo shampoo dei cani.
Finalmente morto lo carica in macchina e lo porta alla discarica per dare fuoco a quello che rimane del corpo.
Come sono andati i fatti secondo gli investigatori ed il Medico Legale
Secondo i risultati delle indagini effettuate, gli investigatori, erano propensi a pensare che a commettere la mattanza non sia stato solamente Pietro de Negri ma era aiutato da un complice.
Poteva essere stato Fabio Beltrano, lo stesso che dichiarò di aver visto per l’ultima volta Giancarlo mentre entrava nella bottega della toelettatura del Negri.
Non sono state rinvenute tracce di prove che confutassero la dichiarazione del de Negri riguardo l’ingresso della vittima all’interno della gabbia.
Inoltre il medico legale dichiarò che la vittima morì in 40 minuti, dopo che gli erano state inferte notevoli ferite nella scatola cranica, in seguito ad emorragia cerebrale e non dopo 7 ore di agonia come dichiarato da de Negri.
Dichiarò, successivamente, che le amputazioni sono avvenute post-mortem e non ante-mortem come dichiarato dal carnefice.
Sempre secondo le indagini tutti i ricordi e le descrizioni effettuate da de Negri sono state frutto dell’offuscamento dato dalla cocaina e per questo aveva una realtà alterata.
Di fatto de Negri confessò immediatamente quanto da lui commesso alla vista delle forze dell’ordine alla sua porta.
De Negri ha scontato la sua pena ed è uscito di prigione nel 2005. Di lui non si sono avute più notizie.
Ai numerosi giornalisti avvicinatesi alla propria abitazione disse di aver pagato alla Giustizia ciò che aveva fatto e non voleva più far parlare di se:
Pietro de Negri: “Per favore, dimenticatemi…”