C’è stato un tempo in cui chiunque presentasse dei problemi mentali veniva mandato in un manicomio.

Ovviamente doveva servire per far ritrovare il senno perso e dare una buona assistenza, ma quello che vi accadde all’interno è più di una brutta storia.

Strutture già esistenti hanno preso forma in Italia il 14 Febbraio 1904 con la legge numero 36:

“Disposizioni sui manicomi e sugli alienati. Custodia e cura degli alienati”

Per alienato si intendeva colui che era distante dalla realtà mentale e sociale. L’alienato era colui che ai giorni d’oggi chiameremo infermo di mente, folle, matto.

La figura professionale addetta era l’alienista, oggi conosciuto con il nome di psicologo.

La suddetta legge permetteva alle forze dell’ordine di poter internare dentro una apposita struttura tutti coloro fossero stati identificati come pericolosi e questo permise di avere, ad un solo anno dalla sua messa in vigore, quasi 40.000 persone internate su territorio italiano.

La situazione sfuggì presto di mano. Ad essere rinchiusi non erano solamente persone che presentavano dei disordini mentali bensì anche tutti coloro erano ritenuti uno scandalo per la società ed un problema per le famiglie.

Alcolizzati, malati paralitici o degenerati erano le figure prese di mira. Durante il fascismo anche gli omosessuali erano considerati degli alienati e quindi venivano rinchiusi.

Anche un’altra figura che dava fastidio nella società ma che di contro non era facilmente perseguibile era l’oppositore politico. Ma con la legge 36/1904 potevano essere messi nelle strutture senza conseguenze.

Non era necessario che la persona soffrisse realmente di qualche disordine mentale per entrare in un manicomio, bastava considerarla pericolosa per la società.

Non a caso il numero dei pazienti era sempre un crescendo. Nel 1941 ai arrivarono a toccare i 95.000 internati in Ospedali psichiatrici.

Uno dei più famosi manicomi fu il Santa Maria della Pietà a Roma dove al suo interno si potevano trovare anche dei partigiani, molti dei quali non riuscirono ad uscirne vivi anche dopo la caduta del fascismo.

Vi fu anche una donna, Violet Gibson, rinchiusa perché cercò di uccidere Mussolini nel 1924. Costretta all’estremo isolamento e perennemente sotto controllo. Con lei anche altri numerosi antifascisti, considerati pericolosi e di cui non si ha notizia della loro uscita.

I manicomi era pieni di persone che non avevano problemi mentali, che vivevano al limite della dignità umana. Persone che morirono precocemente.

I manicomi che fecero dei loro pazienti, sani e non, delle cavie da laboratorio.

Era il 1938 quando all’interno di un padiglione di Santa Maria della Pietà, a Roma, Ugo Cerletti sperimenta l’Elettroshock sull’uomo e che divenne una efficace terapia per combattere i disturbi mentali.

Dovremmo aspettare il 13 maggio 1978, quando il Presidente dell a Repubblica Giovanni Leone firmò la prima legge che andava a rivedere e modificare la gestione dei cittadini che avevano bisogno di assistenza mentale.

La legge 180, conosciuta come legge Basaglia, cambierà per sempre il destino dei manicomi con la direttiva sulla loro chiusura.

Basaglia definì i manicomi come la rappresentazione dell’ Inferno di Dante: al loro interno solo urla, disperazione, fetore e gabbie.